Effetti immunomodulanti della vitamina D in caso di patologia tiroidea

17 Giugno 2020

Oltre alla nota attività sull'omeostasi ossea, recenti studi hanno suggerito un ruolo peculiare della vitamina D anche nella modulazione del sistema immunitario, sia per quanto riguarda l’immunità innata sia per quella acquisita.  In particolare, poi, diverse ricerche hanno dimostrato una relazione tra carenza di vitamina D e comparsa di malattie autoimmuni tiroidee e/o cancro alla tiroide. Ecco così che un gruppo di ricercatori del dipartimento di Medicina traslazionale dell’Università del Piemonte orientale ha condotto una review, di recente pubblicata su Nutrients, allo scopo di mettere in luce le attuali evidenze scientifiche del ruolo della vitamina D nella patologia tiroidea.

Ne abbiamo parato con due degli Autori, Chiara Mele e Paolo Marzullo.

D.ssa Mele, cosa si intende per effetti pleiotropici della vitamina D?

La vitamina D è un ormone noto per la sua funzione regolatoria dell’omeostasi muscolo-scheletrica. Tuttavia, negli ultimi anni, numerosi studi hanno dimostrato la presenza del recettore per la vitamina D a livello di numerose cellule e tessuti, aprendo nuovi orizzonti sulle sue molteplici funzioni. Risulta essere implicata infatti nello sviluppo, nella trasmissione e nella plasticità neuronale, è in grado di inibire il sistema renina-angiotensina-aldosterone, svolge una funzione protettiva a livello dell’endotelio vascolare, migliora l’insulino-sensibilità e sembrerebbe esercitare un importante ruolo immunomodulante. Da un punto di vista clinico, l’ipovitaminosi D infatti, è risultata essere correlata alla presenza di sindrome metabolica, patologie cardiovascolari, cancro, infezioni, autoimmunità, disordini neuromuscolari e a un aumentata mortalità per tutte le cause. Alla luce di tali evidenze, lo stato nutrizionale della vitamina D è stato proposto come biomarcatore della condizione di salute generale di un individuo.

Nello specifico, quali sono le evidenze di un’azione immunomodulatrice?

Negli ultimi decenni un numero crescente di evidenze scientifiche ha suggerito un’interessante associazione tra omeostasi della vitamina D e risposta immunitaria. Su questa base, numerosi ricercatori hanno ipotizzato che l’ipovitaminosi D possa contribuire all’insorgenza di patologie a eziologia autoimmune, tra cui diabete di tipo 1, tiroidite autoimmune, malattie infiammatorie intestinali, artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico e sclerosi multipla. In questo contesto, diversi studi sia in vitro che in vivo hanno dimostrato il ruolo chiave di questo ormone nel modulare sia l’immunità innata che quella acquisita, agendo su diverse componenti di tali sistemi. In particolare, la vitamina D ha la capacità di interagire direttamente con il sistema immunitario promuovendo uno stato di immuno-tolleranza e svolgendo un’importante azione anti-infiammatoria.

Prof. Marzullo, in base alla vostra analisi, quale ruolo potrebbe ricoprire la vitamina D nelle malattie autoimmuni della tiroide?

Diversi studi clinici hanno dimostrato un’importante associazione tra ridotti livelli sierici di vitamina D e rischio di insorgenza di patologie autoimmuni tiroidee soprattutto nei bambini, negli anziani e nelle donne in pre-menopausa. Nel contesto della tiroidite di Hashimoto è stata inoltre osservata un’associazione inversa tra livelli sierici di vitamina D e Tsh, dato che ha suggerito come ridotte concentrazioni sieriche di vitamina D in questi pazienti possano predisporre a un maggior rischio di progressione verso l’ipotiroidismo. Studi interventistici hanno infatti dimostrato come la supplementazione con colecalciferolo nei pazienti con tiroidite di Hashimoto, sia in grado ridurre significativamente l’insorgenza di ipotiroidismo e il titolo degli anticorpi anti-tireoperossidasi. Nel caso, invece, della malattia di Graves e della tiroidite post-partum gli studi in questo senso sono attualmente limitati. Complessivamente, possiamo affermare che l’ipovitaminosi D sembrerebbe essere associata a una maggior prevalenza di patologie autoimmuni tiroidee e che la terapia suppletiva con colecalciferolo potrebbe avere un ruolo chiave nel prevenire l’insorgenza e le complicanze legate all’autoimmunità.

E per quanto riguarda il tumore della tiroide?

La vitamina D gioca un ruolo peculiare nella carcinogenesi tiroidea per le sue proprietà antinfiammatorie e anti-neoplastiche. È in grado infatti di promuovere l’apoptosi, inibire la crescita cellulare e l’attività telomerasica delle cellule tumorali. Recentemente, alcuni studi hanno dimostrato un potenziale ruolo immunomodulante della vitamina D sull’infiammazione associata al tumore. Sembra essere in grado infatti, di esercitare un’importante azione antinfiammatoria in diverse tipologie di cancro, inibendo la sintesi delle citochine pro-infiammatorie. Alla luce di queste proprietà, alcuni ricercatori hanno ipotizzato, sulla base di modelli in vitro e in vivo su animale, un ruolo chiave della vitamina D nel ridurre il microambiente infiammatorio associato al carcinoma tiroideo. I risultati degli studi clinici invece sono attualmente controversi. Infatti, mentre alcuni studi hanno evidenziato un’associazione tra ridotti livelli sierici di vitamina D e un aumentato rischio di insorgenza di tumore tiroideo, altri invece non hanno mostrato alcuna correlazione. Infine, pochi studi hanno valutato il ruolo della terapia suppletiva con vitamina D nel prevenire l’insorgenza di tumore tiroideo, con risultati inconcludenti.

In conclusione, che suggerimenti dare al clinico rispetto all’impiego di vitamina D in prevenzione e trattamento di patologie tiroidee?

Il trattamento suppletivo con colecalciferolo sembra avere effetti benefici nelle patologie autoimmuni tiroidee, mentre non esistono attualmente chiare evidenze circa l’utilità della somministrazione di vitamina D nei pazienti con carcinoma tiroideo. Gli studi clinici condotti nei pazienti con tiroidite di Hashimoto hanno riportato diverse posologie giornaliere o settimanali di colecalciferolo. Bisogna inoltre considerare che la risposta individuale al trattamento e il fabbisogno può variare da un paziente all’altro in base a diversi fattori, tra cui l’età e la massa corporea. Sulla base delle attuali evidenze, suggeriamo pertanto di impostare un trattamento primariamente volto a correggere il deficit di vitamina D, proseguendo poi con una terapia di mantenimento come suggerito dalle attuali linee guida.

Nicola Miglino

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