Resveratrolo e declino cognitivo: le prospettive cliniche

03 Settembre 2019

Un’incidenza che varia dal 5,5 al 7,7 % negli over 60 sino al 22% oltre i 70 anni. Questi i dati che le statistiche ci restituiscono per ciò che concerne il cosiddetto mild cognitive impairment, ovvero il decadimento cognitivo lieve, che i neurologi considerano come una fase di transizione tra il normale invecchiamento e la demenza lieve e che, comunque, nel 10-15% per cento dei casi può considerarsi anticamera di gravi patologie neurodegenerative come l’Alzheimer.

Ecco, dunque, che il mondo della ricerca sta esplorando tutti i fattori genetici, nutrizionali e metabolici in grado di alterare funzioni vascolari e di promuovere infiammazione, inducendo così danni cerebrali e demenza.

Alcuni estratti naturali sembrano annoverare tali proprietà e una recente review, pubblicata su Archives of medical science ha fatto il punto sui risultati ottenuti sinora dalla ricerca pre-clinica e clinica.

Tra gli autori, Arrigo Cicero, dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Prof. Cicero, secondo quali meccanismo biochimici il resveratrolo può giocare un ruolo sulle funzioni cerebrali?

Il resveratrolo è un polifenolo particolarmente concentrato nella radice del Polygonum cuspidatum, una  pianta invasiva in molti paesi asiatici, nella buccia dell'uva scura, in alcune bacche e frutti secchi. Sicuramente ha una forte capacità antiossidante, antinfiammatoria, neuro e vasculo-protettiva, peraltro esercitando un'importante azione antipertensiva in soggetti insulino-resistenti, per esempio i diabetici di tipo 2, nei quali il declino cognitivo è molto più frequente e accelerato rispetto alla popolazione generale. Alcuni modelli sperimentali mostrerebbero addirittura la capacità del resveratrolo di inibire formazione e deposizione di placche amiloidi, uno dei meccanismi proposti per lo sviluppo della malattia di Alzheimer

Che indicazioni ci suggerisce la preclinica?

Quasi tutti i meccanismi d'azione sopra riportati sono stati osservati in modelli in vitro e in modelli animali. In realtà la letteratura propone nuovi meccanismi d'azione confermati in diversi modelli sperimentali ogni mese. Il limite maggiore degli studi in vitro è che bypassano completamente il problema maggiore dell'impiego del resveratrolo come integratore dietetico, che è la sua scarsa biodisponibilità per via orale. Nei modelli animali, invece, vi è spesso il dubbio che le dosi alte usualmente testate non siano compatibili con un impiego per uso umano. Tuttavia, è indubbio che una messe importante di letteratura preclinica è concorde nel supportare il razionale di test clinici per verificare l'azione neuroprotettiva del resveratrolo.

Ci sono trial clinici sufficientemente indicativi delle potenzialità d’azione?

Gli studi clinici disponibili circa l'effetto del resveratrolo sulle funzioni cognitive sono abbastanza convincenti ma hanno diversi limiti metodologici. Spesso arruolano pochi pazienti rispetto all'eterogeneicità della condizione clinica investigata, sono condotti su soggetti con diverso grado di declino cognitivo, non sempre studiato con questionari adeguati e/o sufficienti, spesso su pazienti in cui non viene ottimizzato alla baseline il controllo dei fattori di rischio modificabili quali, per esempio, fumo, attività fisica, qualità della dieta, ipertensione, dislipidemia, diabete. Inoltre, l'outcome "funzione cerebrale" è spesso studiato con metodiche non confrontabili tra loro. Tuttavia, l'impressione generale è che la supplementazione con resveratrolo funzioni, specie nei soggetti con declino cognitivo iniziale, se il trattamento è di durata sufficiente, tendenzialmente mesi, con dosi adeguate, considerato che l'effetto sembra dose-correlato e basato su prodotti standardizzati ed eventualmente lavorati tecnologicamente per migliorarne la biodisponibilità.

Alla luce della vostra review, che conclusioni si sente di trarre e quali indicazioni suggerisce per la pratica clinica?

Esistono diversi estratti vegetali potenzialmente efficaci nel miglioramento delle funzioni cognitive. Sicuramente il più studiato è il Gingko biloba, il cui utilizzo è parzialmente limitato dall'interazione di questo estratto con i farmaci antiaggreganti/anticoagulanti, spesso assunti dai pazienti anziani con deficit cognitivi. Molto interessanti sono i dati sulla Bacopa monnieri. Il resveratrolo si inserisce nel novero dei principi attivi sicuri, che, se assunti sotto forma di integratori standardizzati ad aumentata biodisponibilità e/o a dosaggio elevato per periodi prolungati può fornire un aiuto percepibile nella gestione di soggetti con iniziale calo delle funzioni cognitive, dopo ottimizzazione dello stile di vita e della eventuale terapia sottostante.

Nicola Miglino

 

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