Covid-19, Iss: carenza di vitamina D legata a perdita di gusto e olfatto

22 Maggio 2020

Il mantenimento dei normali livelli plasmatici di vitamina D (VitD) non solo può giocare un ruolo nel ridurre i rischi di infezioni acute delle vie respiratorie, ma potrebbe essere importante per il trattamento di due sintomi tipici della malattia da Covid-19, quali l'anosmia e l'ageusia, ossia rispettivamente la perdita dell'olfatto e del gusto lamentati da più pazienti.

Questo, in sintesi, il contenuto della lettera pubblicata questo mese sull'American journal of physiology – endocrinology and metabolism, che un gruppo di ricercatori di varie istituzioni italiane (Idi-Irccs di Roma, Isa-Cnr di Avellino e Ospedale S. Andrea di Roma) e di una università americana (Augusta University, Augusta, Georgia), coordinati da Francesco Facchiano del dipartimento di Oncologia e Medicina molecolare dell’Istituto superiore di sanità (Iss) ha scritto in risposta ad un'altra lettera pubblicata ad aprile sulla medesima rivista da Hrvoje Jakovac, dell'Università di Rijeka (Croazia), dal titolo “Covid-19 and vitamin D-Is there a link and an opportunity for intervention?”.

“Sulla base di un'ampia metanalisi pubblicata nel 2017 sul British medical journal che riporta una revisione sistematica di studi randomizzati controllati confermiamo ciò che ha proposto il collega croato, ossia il potenziale impatto benefico dell'integrazione di VitD contro le infezioni acute delle vie respiratorie”, spiega Facchiano.

“Inoltre, sottolineiamo che l'anosmia e l'ageusia, sintomi osservati nei pazienti affetti da Covid-19, sono state rilevate anche in soggetti con deficit di VitD. In letteratura è poi riportato che i pazienti affetti dalla sindrome di Kallmann, una rara forma congenita di ipogonadismo ipogonadotropico, presentano spesso diverse caratteristiche comuni ai pazienti affetti da Covid-19 come ipo- o anosmia, maggiore frequenza della malattia nei soggetti di sesso maschile, nonché bassi livelli di VitD. Perciò, queste ricerche sottolineano la necessità, attraverso approfonditi studi epidemiologici, di raccogliere dati dai pazienti per correlare l'infezione da Covid-19 e l’assetto ormonale dei pazienti stessi”.

“Attualmente, sono in corso numerosi trial clinici, per esempio negli Usa, che mirano a testare l'integrazione di VitD nei pazienti con Covid-19 in combinazione con altri farmaci e a confrontare l’effetto di dosi elevate rispetto alle dosi standard”, concludono gli studiosi nella lettera. “I risultati di questi studi saranno fondamentali per verificare l’utilità di un’integrazione di VitD per i pazienti Covid-19”.

La necessità di studi specifici sull’impiego di alte dosi di VitD sia per la prevenzione che per il trattamento dell’infezione da Sars-coV2 viene sottolineata anche da un consensus paper appena pubblicato su Bmj, Nutrition, Prevention and Health da un gruppo di ricerca internazionale.

A momento, la letteratura scientifica non offre supporto all’impiego di dosi elevate di vitamina D (superiori a 4.000 UI/die) al fine di ridurre il rischio di contrarre Covid-19 o per il trattamento dell’infezione.

Gli autori, sulla base delle attuali evidenze, giungono alle seguenti conclusioni:

  • La vitamina D è essenziale per una buona salute.
  • Molte persone, in particolare quelle che vivono alle latitudini settentrionali, hanno uno scarso stato di vitamina D, specialmente in inverno o se costretti spesso in ambienti chiusi.
  • In questa fase di pandemia, la carenza di vitamina D può aggravarsi a causa delle limitazioni di movimento e della ridotta esposizione al sole. Il consiglio, in questi casi, è una supplementazione alle dosi giornaliere raccomandate.
  • Al momento non esiste una forte evidenza scientifica che dimostri che assunzioni molto elevate di vitamina D siano utili nella prevenzione o nel trattamento di Covid-19.
  • In caso di carenze importanti e della necessità di dosaggi superiori a quelli raccomandati, è bene sempre rivolgersi al proprio medico, considerati alcuni rischi degli alti dosaggi, in particolare nei soggetti con ridotta funzionalità renale.

 Nicola Miglino

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