Cibi fritti e rischio coronarico, nuovo studio americano conferma la relazione dose-risposta

22 Aprile 2020

Arriva dagli Stati Uniti un’ulteriore conferma del danno che i cibi fritti possono procurare alle arterie portando a coronaropatia.

Su Clinical nutrition, infatti, è stata da poco pubblicata un’analisi dei dati di circa 155 mila veterani afferenti al VA’s Million Veteran Program (Mvp), un database che raccoglie informazioni su come genetica, comportamenti e rischi dell’esposizione alla vita militare incidano sulla salute degli ex soldati statunitensi in pensione.

Dal pool generale degli 800 mila volontari aderenti al Mvp, sono stati estrapolati i dati di coloro per i quali erano disponibili informazioni sulle abitudini alimentari, 155 mila appunto, al 90% maschi e di età media pari a 64 anni Nello studio, i ricercatori hanno suddiviso i partecipanti in quattro categorie, a seconda della frequenza di consumo di cibi fritti, con un follow-up di tre anni.

Tra i 69.617 veterani che consumavano cibi fritti meno di una volta a settimana, l’incidenza di malattia coronarica è risultata del 14,6%. Per gli altri gruppi, questi i risultati:

  • da una a tre volte/settimana: n=50.314 (16,6%)
  • da quattro a sei volte/settimana: n=26.623 (16,8%)
  • quotidianamente: n=8.109 (18,3%)

Secondo Jackie Honerlaw, del Massachusetts veterans epidemiology research and information center di Boston e principale autore dello studio, si tratta della più ampia indagine mai condotta sul legame tra cibi fritti e malattia cardiovascolare, che mette una parola definitiva su un tema intorno al quale non sempre la letteratura biomedica ha prodotto risultati convergenti, spesso per problemi metodologici.

 “I nostri dati rendono evidente una relazione dose-dipendente. Certo, ci vorrebbe un trial clinico randomizzato per dimostrare una relazione diretta di causa/effetto, ma a questo punto non sarebbe etico esporre delle persone al rischio di mangiare cibi di cui già conosciamo i danni potenziali”.

Dai risultati dello studio emerge che l'olio da cucina più comune usato per friggere in casa quello vegetale (72%), seguito da burro (28%) e margarina (17%).

“Gli oli vegetali, ricchi di grassi e vitamine essenziali, possono però contenere grassi trans assorbiti dal cibo.  Le stesse alte temperature raggiunte con la frittura possono aumentare il contenuto di grassi trans nell'olio”, sottolineano gli Autori.

In un'analisi secondaria, i ricercatori hanno osservato una più evidente associazione tra cibo fritto e malattia coronarica tra le persone in sovrappeso e obese.

I consumatori abituali di cibi fritti mostravano tendenzialmente un livello di istruzione più basso e una maggiore attitudine al fumo.

Secondo Kris-Etherton, dell'American Heart Association “bisognerebbe evitare di dibattere su quale sia, per esempio, l’olio migliore per friggere e puntare direttamente sul consumo di cibi più sani. Olio vegetale per la frittura? No, olio di oliva extravergine a crudo su insalate ricche di verdura. E, comunque, molto meglio un pesce al forno o alla griglia”.

Nicola Miglino

Top
Questo sito utilizza i cookies, che consentono di ottimizzarne le prestazioni e di offrire una migliore esperienza all'utente. More details…