Disbiosi e acidi grassi a catena corta chiave di volta contro le malattie autoimmuni

18 Marzo 2020

L’impiego di propionato, acido grasso a catena corta (Scfa), potrebbe essere di utile supporto nel ridurre i processi infiammatori che accompagnano malattie neurodegenerative come le Sclerosi multipla (Sm). L’evidenza deriva da uno studio internazionale pubblicato su Cell, che aggiunge un ulteriore tassello all’ipotesi sul ruolo del microbiota nella patogenesi delle malattie autoimmuni.

Gli acidi grassi a corta catena, infatti, sono prodotti prevalentemente dalla fermentazione della fibra alimentare per opera dei batteri intestinali e sono noti per la loro azione immunomodulante. Nella fattispecie, l’acido propionico, si segnala in letteratura per la capacità di migliorare la sensibilità all’insulina, favorire la sintesi di neurotrasmettitori, nonché agire su metabolismo lipidico, afflusso di calcio e sistema immunitario.

Studi recenti suggeriscono che l’aumento dei casi di malattie autoimmuni in tutto il mondo potrebbe essere legato a fattori ambientali, tra i quali sembra prevalere la dieta, con le sue ricadute sul microbiota intestinale, in stretta relazione con le cellule del sistema immunitario.

In alcuni modelli animali di Sm e malattia infiammatoria cronica intestinale, l'acido propionico si è dimostrato in grado di determinare, a livello intestinale, un aumento significativo della popolazione di Treg (T regolatorie), un particolare tipo di cellule capaci di regolare il sistema immunitario, ma che nelle persone con Sm si mostrano meno abili nell’adempiere a questa funzione.

Gli Autori dello studio hanno prelevato campioni di siero e feci da un ampio gruppo (n=300) costituito sia da pazienti con Sm sia da persone sane, andando a misurare i livelli di Scfa intestinali, le quantità di batteri produttori di Scfa e gli effetti del propionato su alcuni indicatori immunoregolatori.

Il primo risultato messo in evidenza è che i pazienti con Sm presentavano livelli più bassi di propionato nel siero e nelle feci rispetto ai controlli sani. Hanno poi somministrato propionato sia a pazienti non in terapia farmacologica sia in aggiunta a questa, che tendenzialmente mira a sopprimere l’attività di linfociti Th1 e Th17. Dopo due settimane, si è riscontrato un aumento significativo dell’attività delle Treg e, contestualmente, una significativa riduzione di cellule Th1 e Th17.

Valutazioni condotte a tre anni hanno evidenziato effetti clinici, con riduzione delle recidive, stabilizzazione della disabilità e riduzione dell’atrofia cerebrale misurata tramite Rmn.

L’analisi del microbioma ha evidenziato come l’acido propionico determinasse, a livello intestinale, una maggiore espressione di geni favorenti la proliferazione di Treg, normalizzandone anche la funzione mitocondriale e la morfologia.

Nei pazienti con Sm, inoltre, emergeva una carenza di specie batteriche note come produttori di Scfa quali Butyricimonas e abbondanza di alcune con effetti dannosi quali Flavonifractor, Escherichia coli e Shigella e altre come Collinsella che proliferano in condizioni di bassa concentrazione di Sfca.

“Il nostro studio fornisce ulteriori prove del fatto che gli Scfa sono presenti in quantità ridotte nei pazienti con malattie autoimmuni come la sclerosi multipla, conseguenza di un microbiota intestinale alterato. Questa carenza, porta a un’alterata attività delle Treg, fenomeno che si può correggere con una supplementazione di acido propionico. Oltre a quello immunomodulatorio, l'integrazione potrebbe anche avere un effetto neuroprotettivo, come suggerito dai miglioramenti morfologici a livello cerebrale e da esiti clinici più favorevoli. Si tratta, per quanto ne sappiamo, del primo studio che mostra effetti clinici e neurorigenerativi dell’acido propronico”.

Nicola Miglino

 

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