Appello su Jama: i professionisti della salute vadano a scuola di nutrizione

17 Luglio 2019

Sono parole pesanti quelle usate da Neal Barnard, presidente del Physicians committee for responsible medicine di Washinghton, in un editoriale su Jama internal medicine: l’ignoranza medica in tema di nutrizione non è più difendibile. Sovrappeso, obesità, diabete, malattie cardiovascolari e alcuni tumori sono strettamente correlati a cattive abitudini alimentari eppure i clinici, pur magari teoricamente consapevoli, non vi pongono la giusta attenzione, sia in termini di prevenzione che di trattamento.

Lui per primo, quando ricorda un episodio a lui occorso in ospedale relativo a un paziente diabetico ricoverato per una grave infezione al piede: “Mi chiedevo perché continuasse a resistere all’amputazione, che pensavo fosse il suo destino ineluttabile. Mi sbagliavo e di gran lunga. Infatti, ormai sappiamo, per esempio, che l’insulino-resistenza ha inizio con l’accumulo di grassi nelle cellule muscolari ed epatiche interferendo con i segnali insulinici e facendo innalzare la glicemia. Si tratta di lipidi provenienti dal cibo. Le sole variazioni dietetiche sono in grado di ridurne i livelli, migliorando insulino-resistenza e diabete che spesso possono anche scomparire. Le complicanze stesse, come la neuropatia che porta a ulcerazione dei piedi e al rischio di amputazione, possono regredire. Noi eravamo pronti ad amputare senza riflettere minimamente sui benefici che avremmo potuto ottenere migliorando l’alimentazione del paziente”.

Continua poi il suo racconto con altri aneddoti: “Alcuni anni dopo, ho avuto l'opportunità di parlare con pazienti affetti da coronaropatia che avevano partecipato a uno studio clinico teso a valutare i benefici in questa fascia di popolazione di un intervento nutrizionale e sullo stile di vita. Durante il trial, i loro dolori al petto erano scomparsi e le condizioni cliniche notevolmente migliorate. Uno di loro era addirittura furioso: i medici, disse, erano pronti a eseguire un intervento a cuore aperto, ma nessuno aveva preso in considerazione il fatto che i soli cambiamenti della dieta sarebbero stati in grado di risolvere il problema molto più facilmente”.

Non che i medici non siano interessati alla parte nutrizionale, sottolinea Barnard: il 94% degli internisti americani, secondo una recente indagine, ne riconosce l’importanza e ritiene che i consigli dietetici dovrebbero far parte sempre del colloquio con il paziente. Il problema è che solo il 14% si rivela formato su questo fronte e per di più spesso sono per primi i medici ad avere abitudini alimentari scorrette con conseguenze rilevanti sulla pratica clinica: si cita, per esempio, uno studio del 2012 in cui appare evidente come il medico, se in sovrappeso od obeso, sia più incline a non classificare come tale il paziente.

Ecco allora i suggerimenti in 5 mosse:

  • La formazione continua dei medici deve prevedere una quota fissa e costante dedicata a temi di carattere nutrizionale;
  • Ogni medico, di qualsiasi specialità, deve lavorare a stretto contatto con esperti della nutrizione, in maniera tale da avere contezza del ruolo che la dieta può svolgere nella malattia e comunicarlo al paziente in modo appropriato;
  • Nella compilazione delle cartelle cliniche devono sempre trovare spazio domande sulle abitudini alimentari del paziente e sugli effetti di eventuali interventi;
  • I medici non devono mai dimenticarsi di rappresentare un modello comportamentale per i pazienti. Come un pacchetto di sigarette nel taschino del camice può minarne la credibilità, lo stesso vale per i consigli nutrizionali: bisogna praticare ciò che si predica;
  • Classe medica a parte, c'è però anche bisogno di cibi più sani in scuole, ospedali e luoghi di lavoro, oltre a politiche più favorevoli. In questo ambito, la comunità medica deve giocare un ruolo cruciale.

 Nicola Miglino

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