Obesità, appello degli esperti: riconoscerla al più presto come malattia

18 Giugno 2019

 “La maggioranza delle persone obese che si rivolge a un medico lo fa solo nel momento in cui accusa i sintomi di malattie correlate quali diabete, ictus, ipertensione o tumori. Questo non è più ammissibile in un sistema sanitario come quello italiano che, a oggi, non riconosce ancora l’obesità come una malattia altamente invalidante e che rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie non trasmissibili.”

Con questo appello l’Italian obesity network (IO-Net), il gruppo scientifico coordinato dall’Adi - Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica, ha chiuso lo scorso 14 giugno il primo Forum nazionale Obesità, a Matera.

“I numeri dell’obesità nel nostro Paese hanno raggiunto livelli preoccupanti” dice Giuseppe Fatati, presidente IO-Net. “Parliamo di circa 5,4 milioni di italiani adulti obesi e oltre 23 milioni in eccesso di peso. Eppure l’Italia non ha ancora un piano strategico per affrontarla. La maggior parte degli interventi politici adottati finora si sono sempre focalizzati sulla dieta, sull’esercizio e sulla prevenzione. I farmaci anti-obesità non vengono rimborsati dal sistema sanitario nazionale e il ricorso alla chirurgia bariatrica è disponibile solo per gli adulti con Bmi superiore a 40, oppure a 35, ma con una o più patologie legate al sovrappeso, quando gli sforzi precedenti di perdita di peso non sono riusciti”.

E conclude: “Per affrontare la malattia è necessario investire sulla formazione, sull’ampliamento e sul coordinamento delle organizzazioni sanitarie del Paese affinché vengano offerti ai pazienti cure e trattamenti appropriati e omogenei su tutto il territorio. Non tutte le strutture sanitarie sono ancora dotate di centri di dietetica e nutrizione clinica, mentre tra quelle esistenti sono rari i casi di reale interdisciplinarità degli ambiti medici. Solo riconoscendo l’obesità come malattia possiamo rendere omogenea l’assistenza sanitaria e abbattere le barriere dei sensi di colpa, dei pregiudizi socio-culturali che fino a oggi hanno guardato al problema solo dal punto di vista estetico e non clinico”. 

 

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