Carenza di vitamina D, maggior rischio di Covid-19: conferme da Jama

09 Settembre 2020

Crescono gli indizi a favore di uno stretto legame tra carenza di vitamina D e infezione da Sars-coV-2. Un contributo rilevante giunge dal lavoro di alcuni clinici americani, pubblicato nei giorni scorsi su Jama network open, che ha preso in esame una coorte di 489 soggetti (366 donne, 123 uomini. Età media: 49 anni) di cui si disponevano i valori di 25-idrossicolecalciferolo e 1,25-idrossicolecalciferolo nell’ultimo anno prima del tampone effettuato tra marzo e aprile scorsi, prendendo anche in considerazione eventuali trattamenti dell’ipovitaminosi D intercorsi. 

Obiettivo: verificare la correlazione tra livelli di vitamina D, corretti o meno da un trattamento, prima del tampone naso-faringeo e conseguente positività.

Nel complesso, si sono registrati 71 casi di Covid-19 e il rischio relativo di malattia è risultato 1,77 volte più alto tra quanti presentavano livelli insufficienti di Vitamina D rispetto a coloro che presentavano valori normali.

“Per quanto ci risulta, il nostro è il primo studio che mostra una correlazione tra deficit di vitamina D e positività al test per Covid 19” dicono gli autori. “L’analisi, infatti, mostra che chi si presenta al tampone con livelli insufficienti, ha più probabilità di risultare positivo. Il risultato sembrerebbe perciò in linea con metanalisi che hanno già evidenziato una correlazione tra livelli inadeguati di vitamina D e infezioni virali respiratorie con altri coronavirus coinvolti. I benefici di una supplementazione sembrerebbero giovare non soltanto in caso di carenza ma anche in situazioni normali secondo gli attuali standard, tarati però sui benefici per la salute ossea, mentre poco si sa per ciò che concerne il sistema immunitario. Oggi, però, abbiamo maggiori conoscenze. Innanzitutto, sappiamo che la vitamina D rafforza l’immunità innata e quindi potrebbe essere utile nel controllare l’infezione e la sua trasmissione. Agisce, poi, anche sul metabolismo dello zinco, coinvolto nella replicazione dei coronavirus e modula la funzione immunitaria agendo su cellule dendritiche e linfociti T in grado di promuovere la clearance virale e di ridurre il processo infiammatorio. Alti livelli di vitamina D, infine, sono correlati con minore produzione di interleuchina 6, tra i principali responsabili della tempesta citochinica. Per questo auspichiamo l’avvio di trial clinici randomizzati che valutino l’efficacia di dosi variabili di vitamina D, in soggetti carenti e non, nel ridurre il rischio di Covid 19. I bassi costi della vitamina D e la sua sicurezza generale, almeno a dosi fino a 4.000 UI/die giorno, rappresenterebbero un valore aggiunto per interventi di salute pubblica, anche solo nei soggetti ad alto rischio”.

Nicola Miglino

 

 

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