I pazienti con insufficienza cardiaca in sovrappeso o obesi hanno meno probabilità di finire in ospedale o morire rispetto ai normopeso? Sembrava così, al punto da esser definito un paradosso dell'obesità. Ora, però, uno studio, pubblicato sull'European heart journal, cambia completamente le carte in tavola, svelando il perché di quell’errata conclusione: il Bmi come parametro predittivo è fuorviante. Altri sono i marcatori da prendere in esame, che svelano l’esatto opposto del paradosso.

La supplementazione di CoQ10 in aggiunta alle terapie standard potrebbe rivelarsi un utile supporto nella gestione dei pazienti con malattie cardiovascolari. Questa la conclusione di una review pubblicata su The journal of nutrition che ha preso in esame 14 studi (1.067 partecipanti totali) in cui è stato valutato l’effetto di una supplementazione di CoQ10 prevalentemente in soggetti anziani di sesso maschile, con insufficienza cardiaca o ipertensione, cardiopatia ischemica piuttosto che prima di un intervento cardiochirurgico.

Stanno facendo molto discutere i dati provenienti da uno studio internazionale multicentrico, pubblicato a inizio aprile da The Lancet, secondo i quali non c’è correlazione tra maggior consumo di sale e peggioramento clinico nei pazienti con scompenso cardiaco. Miglioramenti si segnalerebbero soltanto sul fronte di alcuni indicatori legati alla qualità di vita.

L'integrazione con micronutrienti, in particolare coenzima Q10 (CoQ10), zinco, rame, selenio e ferro, potrebbe contribuire a migliorare la funzione miocardica nei pazienti con scompenso cardiaco (Sc). Questo quanto sostiene un gruppo di ricercatori anglo-olandesi in una review pubblicata di recente sul Journal of internal medicine, tesa a fare il punto sui meccanismi di regolazione della funzione mitocondriale in gioco nella fisiologia del muscolo cardiaco.

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