Un deficit nutrizionale prima o durante il ricovero in pazienti Covid-19 non critici va considerato fattore prognostico per aggravamento della malattia. Da qui, la necessità di mettere al centro dell’approccio terapeutico la cura anche del profilo dietetico per evitare un peggioramento del quadro clinico. Una lezione utile, che serve da esempio su quanto il supporto nutrizionale possa essere d’aiuto in molti ambiti della pratica medica. Queste, in sintesi, le conclusioni di Nutricovid-19, il più ampio studio multicentrico mai condotto sulle tematiche nutrizionali nel corso della prima ondata pandemica, i cui risultati sono in corso di pubblicazione su Clinical nutrition.

Ricerca e Sviluppo, digitalizzazione e sostenibilità. Questi i tre pilastri intorni ai quali costruire la ripartenza nel post-Covid da parte delle aziende del settore integratori, così come emerge dalla sesta indagine sulla filiera presentata di recente da Federsalus, l’associazione di categoria che rappresenta produttori e distributori del comparto. Una fotografia che presenta sicuramente più luci che ombre rispetto alla situazione di mercato dopo 15 mesi di pandemia.

Le diete vegetariane e/o ricche di pesce (cosiddette pescetariane) possono aiutare ad attenuare l’impatto di una eventuale infezione da Sars-coV-2, secondo quanto suggerito da uno studio pubblicato su Bmj Nutrition prevention & health. Il rischio di malattia grave verrebbe ridotto, rispettivamente, del 73% e del 59%.

Il Gioseg (Glucocorticoid induced osteoporosis skeletal endocrinology group) ha da poco pubblicato un documento su Covid-19 e vitamina D curato da alcuni dei più autorevoli esperti italiani in materia. La necessità nasce dal dibattito in corso sul potenziale impatto negativo dell’ipovitaminosi D sull’incidenza dell’infezione da Sars-CoV-2 e sulla prognosi del Covid-19.

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