Pesce e rischio melanoma: studio evidenza correlazione. Sospetti sui contaminanti

05 Luglio 2022

Un recente studio osservazionale condotto da un gruppo di ricercatori della Brown University di Providence, nel Rhode Island, ha messo in evidenza una stretta correlazione tra consumo di pesce e incidenza di melanoma, attribuendone la possibile causa alla presenza di contaminanti.

Gli Autori hanno analizzato i dati raccolti su 491.367 adulti reclutati in Usa per il Nih-Aarp diet and health study tra il 1995 e il 1996. I partecipanti, che avevano in media 62 anni di età, hanno riferito con quale frequenza hanno mangiato pesce fritto, pesce non fritto e tonno durante l'anno precedente, nonché le dimensioni delle porzioni. I ricercatori hanno incrociato i dati con i tassi di incidenza di nuovi melanomi che si sono sviluppati nell’arco di 15 anni utilizzando i dati ottenuti dai registri del cancro. Hanno tenuto conto dei fattori sociodemografici, nonché del Bmi dei partecipanti, dei livelli di attività fisica, dell’abitudine al fumo, del consumo di alcol e caffeina, della storia familiare di cancro e dei livelli medi di radiazioni Uv nella loro area locale.

L’analisi dei dati ha evidenziato un’associazione tra consumo di pesce e tonno non fritti e rischio di melanoma maligno e in situ. Un consumo di 14,2 g/die di tonno determinava un rischio maggiore del 20% di melanoma maligno e del 17% di melanoma in situ, rispetto a consumi pari a 0,3 g/die. Con il pesce non fritto, un consumo di 17,8 g/die si associava a un rischio maggiore del 18% di melanoma maligno e del 25% di melanoma in situ, rispetto a 0,3 g/die. Nessuna correlazione, invece, per il pesce fritto.

Così Eunyoung Cho, prima firma dello studio: "Ipotizziamo che i nostri risultati possano essere attribuiti alla presenza di contaminanti nei pesci, come bifenili policlorurati, diossine, arsenico e mercurio. Già ricerche precedenti hanno evidenziato come alti consumi di pesce si associno a livelli più elevati di questi contaminanti nell’organismo, identificando una correlazione con una maggiore incidenza di tumori della pelle. Il nostro studio, però, è di tipo osservazionale e retrospettivo e, pertanto, non ha indagato il rapporto causa/effetto studiando le concentrazioni di questi contaminanti nell’organismo dei partecipanti. Inoltre, non abbiamo tenuto conto di alcuni fattori di rischio per il melanoma, come presenza di nei, colore dei capelli, storia di gravi scottature solari e comportamenti legati all’esposizione al sole. Sono pertanto necessarie ulteriori ricerche per studiare i componenti del pesce che potrebbero contribuire all'associazione osservata. Al momento, non abbiamo evidenze per suggerire raccomandazioni sul limitare il consumo di pesce”.

Così commentano Andrea Poli e Franca Marangoni, Nutrition Foundation of Italy: "La prima considerazione riguarda il possibile ruolo del consumo totale di pesce. Nel secondo quintile della coorte studiata, che consuma 7,96 g/die di pesce, il rischio di melanoma maligno è significativamente aumentato, di un+15% in analisi multivariata, rispetto al primo quintile, che ne consuma 3,93 g/die. Che il consumo aggiuntivo di poco più di una porzione di pesce al mese possa aumentare il rischio di melanoma del 15% è probabilmente ben poco plausibile sul piano biologico. Il trend dei casi, nei quintili superiori, è inoltre molto meno ripido: nel quinto quintile, che consuma 42,8 g/die di pesce, l’aumento del rischio è del 22% rispetto al basale. La spiegazione dell’associazione offerta degli autori è naturalmente la possibile presenza di contaminanti nel pesce. In base ai nostri calcoli, in realtà, la possibile esposizione ai contaminanti, ai livelli di consumo di pesce, e specificamente di tonno, rilevati nella popolazione allo studio, sono insufficienti per destare problemi di salute. Anche considerando il livello di mercurio totale più elevato tra i valori registrati da Efsa nel relativo parere del 2012, l’esposizione con il tonno sarebbe infatti ben al di sotto del Tolerable weekly intake anche nel quintile con il consumo più elevato. Gli studi di natura osservazionale, come questo, d’altra parte, non consentono come è noto di stabilire relazioni di tipo causale tra l’esposizione a un fattore di rischio e la comparsa di specifiche patologie. Si potrebbe anche pensare che un maggiore consumo di pesce, ma forse non di tonno, possa essere caratteristico delle popolazioni che vivono sulla costa, che potrebbero essere probabilmente più esposte alla radiazione solare, il più classico dei fattori di rischio di melanoma, rispetto a popolazioni con residenza più lontana dalla costa. Gli autori dichiarano di aver effettuato un aggiustamento statistico per l’esposizione alla radiazione Uv. È tuttavia evidente che l’aggiustamento dipende dalla qualità dei dati disponibili, che non è necessariamente buona: ci sembra un parametro non facile da stimare. Inoltre, l’assenza di relazione con il pesce fritto, che in realtà sembrerebbe addirittura protettivo, è ben poco comprensibile. È altamente improbabile che la frittura estragga dal pesce i componenti o i contaminanti che aumentano il rischio di melanoma. Ma l’intera coorte, si potrebbe dire, sembra avere grossi problemi. Il quinto quintile consuma quasi 800 kcal al giorno più del primo: ma la differenza del Bmi è inferiore ad un punto, 27,6 vs 26,7. È abbastanza ovvio che ci deve essere stato un significativo under-reporting in un gruppo, e/o un significativo over-reporting nell’altro, che rendono l’interpretazione dell’intero lavoro non agevole. Tornando al tonno, e considerando i casi osservati, la popolazione di partenza e la lunghezza del follow-up, si concluderebbe che circa il 5% dei casi di melanoma maligno sarebbe associato al consumo di tonno, con un eccesso di incidenza di un caso su circa 2 mila persone seguite in media per 15,5 anni. Il rischio attribuibile, e i casi attribuibili, sono quindi piuttosto bassi".

Nicola Miglino

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