Intestino irritabile, nessun beneficio sui sintomi dalla vitamina D

02 Settembre 2021

La supplementazione con vitamina D non aiuta ad alleviare sintomi e a migliorare la qualità di vita nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile (Ibs). Ciononostante, si tratta di pazienti molto spesso in condizione di ipovitaminosi D e a rischio di caduta e frattura ed è pertanto raccomandabile integrare quando necessario a favore di una migliore condizione generale di salute. Questi i risultati di uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato vs placebo, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Sheffield e pubblicato sull’European journal of nutrition.

Sono stati reclutati, tra dicembre 2017 e marzo 2019, 135 pazienti (106 donne) affetti da Ibs che per 12 settimane hanno ricevuto vitamina D via spray orale sublinguale (3.000 Ui/die) o placebo. Outcome primario era la variazione della gravità dei sintomi, secondario l’incidenza degli stessi sulla qualità di vita, parametri entrami valutati tramite questionari validati a livello internazionale. A inizio studio, il 60% dei partecipanti era carente di vitamina D.

I risultati hanno messo in evidenza che, sebbene i livelli di vitamina D siano aumentati nel braccio di intervento rispetto al placebo, non è emersa alcuna differenza nel cambiamento della gravità dei sintomi o della qualità di vita tra il braccio attivo dello studio e quello placebo.

Allo stesso tempo, però, hanno consentito di verificare una carenza di vitamina D diffusa nella popolazione con Ibs, esposta così a maggior rischio di osteoporosi e fratture.

Così commenta Liz Williams, docente di Nutrizione umana all'Università di Sheffield e co-autrice della ricerca: "Nonostante il forte interesse da parte di ricercatori e pazienti nei confronti del possibile impiego della vitamina D ad alte dosi per alleviare i sintomi dell'Ibs, non ci sono molti studi con adeguati gruppi di controllo a supporto di tale ipotesi. La nostra ricerca mostra che l'integrazione di vitamina D, a dosi moderate, su questo fronte non ha effetto. Vale la pena notare, tuttavia, che la supplementazione permette di correggere stati di carenza, aspetto cruciale su altri fronti, quali, per esempio, la salute di ossa e muscoli".

Conclude Bernard Corfe, docente di Nutrizione umana all'Università di Newcastle, membro onorario dell'Università di Sheffield e coordinatore dello studio: “Bassi livelli di vitamina D in questi pazienti possono essere dovuti a cambiamenti nella dieta e nello stile di vita. La gravità dei sintomi, infatti, spesso li porta a condizionamenti nelle abitudini alimentari o a limitazioni di possibili attività all’aperto, con conseguente minore esposizione a fonti essenziali di vitamina D. Per questo è comunque importante che i clinici indaghino e trattino eventuali stati di carenza affinché non si determinino conseguenze ancor più gravi sulla salute a lungo termine".

Nicola Miglino

 

 

 

 

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