Sulla base dei risultati di alcuni studi precedenti, i ricercatori hanno voluto verificare l’efficacia del latte fermentato con L. casei Shirota nel controllo della febbre ma anche su altri indicatori, quali, per esempio, l’effetto immunomodulante sulle IgA salivari e del sangue periferico.
I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi e seguiti per sei mesi, durante una stagione autunno-invernale. Ogni giorno, 44 soggetti assumevano una bottiglietta di latte fermentato contenente LcS e gli altri 44 un placebo (senza alcun ceppo batterico).
A inizio e fine studio sono stati raccolti campioni di sangue periferico, saliva e feci. La comparsa di episodi febbrili è stata valutata per 12 mesi: i sei dello studio e i sei precedenti.
Nel gruppo LcS, non si sono registrate differenze nel numero medio di giorni/persona con febbre: 0,90. Il gruppo placebo, invece, prima dello studio aveva una media di 1,22, arrivata a 2,89 nel corso della ricerca. La stessa durata degli episodi era raddoppiata tra chi aveva ricevuto placebo, passando da 0,52 a 1,17 giorni di media, rimanendo invariata nel gruppo LcS.
L’analisi dei campioni di sangue, saliva e feci non ha invece segnalato differenze, che potevano, nelle attese degli Autori, suggerire una possibile spiegazione ai dati riscontrati sulla febbre. Tra le interpretazioni addotte, la principale è che possibili effetti immunomodulanti, già evidenziati in altre ricerche, possono essere più facilmente riscontrati con un monitoraggio continuo degli indicatori e non a distanza di sei mesi. Questo, però, avrebbe comportato prelievi regolari non compatibili con la fascia di popolazione analizzata.
Così concludono gli Autori: “I nostri risultati mostrano che il consumo regolare di latte fermentato con L. casei Shirota riduce il numero di giorni con febbre e la durata della stessa, in linea con i risultati di studi precedenti. Si tratta di un’evidenza rilevante soprattutto per gli anziani, considerato il rischio di disidratazione e altre complicanze legate alla comparsa di episodi febbrili in questa popolazione. Sarà importante, a questo punto, avviare studi approfonditi che indaghino i meccanismi alla base di questo effetto protettivo”.